martedì 26 gennaio 2010

Presentazione del libro "I Legionari di Nettunia"

Sabato 30 Gennaio alle ore 17:00 presso la sede di via Flaminia Vecchia (casaletto davanti al centro commerciale conad) si terrà la presentazione del libro "I Legionari di Nettunia" di Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione RSI.Interverranno Alberto Mazzoneschi, ricercatore-storico e Sandro Morichelli, decano dei giornalisti spoletini. Al termine dell'evento i ragazzi di Azione Giovani hanno organizzato una cena al Ristorante "Due Querce".

domenica 17 gennaio 2010

L’assassino di Ramelli fa carriera: è diventato primario in Puglia

Lo aspettarono sotto casa, a Città Studi. E lo aggredirono selvaggiamente a colpi di chiave inglese. Sergio Ramelli, studente dell’istituto Molinari con simpatie per il Msi, cercò di difendersi, ma non ebbe scampo. Rimase in coma quarantasette giorni, morì il 29 aprile 1975. Non aveva ancora diciannove anni, era un ragazzo o poco più, ma per il servizio d’ordine di Avanguardia operaia il suo fascismo meritava una lezione. Definitiva. E così fu.Quell’episodio raggelante torna ora d’attualità, perché uno dei protagonisti di quella storia, Antonio Belpiede, condannato a 7 anni per omicidio volontario, è diventato primario. Sì, primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Canosa di Puglia. Belpiede non ha vinto una gara, perché il concorso si terrà solo nei prossimi mesi, ma un anno fa, quando si liberò il posto, i vertici della Asl Bat (Barletta-Andria-Trani) hanno scelto lui fra i candidati all’incarico. Così, sia pure in forma provvisoria, Belpiede è diventato dirigente dello Stato. Nulla di irregolare, per carità, semmai un problema di opportunità che il direttore generale della Asl Rocco Pianosa, area Rifondazione comunista, rispedisce al mittente: «Alla direzione della Asl risulta che il dottor Belpiede non abbia al momento alcuna pendenza penale. Il dottor Belpiede è stato nominato direttore facente funzione dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Canosa dopo una valutazione di tutti i curricula dei medici del reparto. A breve sarà espletato il concorso per nominare il primario».Ancor più netto l’interessato: «Io vado avanti a testa alta. Non ho partecipato a quell’azione, non ho ucciso nessuno, sono innocente, ho subito una condanna vergognosa. Certo, ero membro del Servizio d’ordine di Avanguardia operaia, ma non so nulla dell’omicidio Ramelli. So invece che dopo la laurea in medicina tornai in Puglia e ho dedicato una vita al lavoro e all’impegno per i pazienti. Quel posto, per quanto provvisorio, è il premio per anni e anni di fatica e abnegazione».Certo, la storia giudiziaria di molti episodi degli Anni di piombo è ancora controversa. Nel caso di Ramelli la verità arrivò solo dopo dieci anni, grazie all’indagine condotta a metà degli anni Ottanta da Guido Salvini e Maurizio Grigo. Con tenacia e dopo moltissimi interrogatori, i giudici arrivarono alla squadra di Medicina di Avanguardia operaia. Il gruppo che aveva firmato l’omicidio. Non solo: le indagini portarono anche a scoprire, in un abbaino di viale Bligny, un gigantesco archivio in cui Avanguardia operaia aveva schedato centinaia di nemici con tanto di foto, dati biografici, appunti con le abitudini e gli stili di vita. Avanguardia Operaia aveva una lunga tradizione di militarizzazione della lotta politica. Già a maggio ’69, ben prima di piazza Fontana, sul giornale omonimo si poteva leggere: «Anche il capoccia, anche il ruffiano, anche il dirigente, sono uomini come noi. Quando sono in fabbrica si fanno grossi approfittando della forza del padrone, ma quando escono diventano degli individui isolati. Sono persone fisiche che soffrono in caso di percosse, sono persone che proverebbero vivo dispiacere scoprendo la loro auto distrutta; sono persone che hanno una casa... È importante individuare il nemico, personalizzarlo, dargli nome e cognome».L’omicidio Ramelli viene da questa pratica di violenza e intimidazione. Ramelli fu oggetto di una persecuzione scientifica per mesi: fu picchiato, minacciato, insultato. In particolare, il 13 gennaio ’75 era stato circondato da un’ottantina di studenti e costretto a cancellare con vernice bianca scritte fasciste apparse sui muri del Molinari; e sempre a scuola aveva subito addirittura un processo politico per aver scritto un tema troppo sbilanciato a destra. Infine, il 13 marzo, ecco l’agguato. Sergio Ramelli viene ricoverato al Policlinico in condizioni disperate. Gli hanno sfondato il cranio. Ma il ragazzo non vuole morire. Resiste per un mese e mezzo. Un’agonia straziante, le visite della madre, piccoli cenni di miglioramento, poi il 29 aprile il collasso e la morte. E non basta, perché il giorno prima un gruppo di facinorosi ha raggiunto la casa dei Ramelli gridando slogan contro il fratello Luigi e minacciando pure lui. Questa è la Milano di metà anni Settanta, in cui i funerali si svolgono in forma semiclandestina per motivi di ordine pubblico. E la memoria di Ramelli si riduce a ben poca cosa: una foto che mostra un ragazzo con i capelli lunghi e gli occhi castani.Dieci anni dopo l’indagine e le condanne. Prima per omicidio preterintenzionale, poi, in appello, per omicidio volontario. Belpiede, secondo la ricostruzione della magistratura, avrebbe partecipato all’aggressione con un ruolo di copertura. Lui nega: «Non c’ero quel giorno in via Amadeo». In primo grado gli danno 13 anni, in appello 7, pena confermata in Cassazione. «Sono rimasto in cella un paio d’anni - spiega lui al Giornale - quando mi hanno arrestato ero capogruppo del Pci a Cerignola, ho lasciato per sempre la politica, è stata una tragedia. Violante mi ha consolato e l’avvocato di parte civile Ignazio La Russa mi ha rincuorato. Voglio ricordare che sono stato condannato sulla base di dichiarazioni di pentiti che si ricordavano a malapena chi fossi. Ora non ho niente di cui pentirmi. Ho solo svolto con passione il mio lavoro di ginecologo». Oggi Belpiede si tiene stretto il suo posto di primario.

martedì 12 gennaio 2010

Regionali 2010 Panfili (PdL): “Bisogna avere il coraggio di osare per non perdere l’ennesima storica occasione”

Interviene sulla questione delle elezioni regionali il Consigliere Provinciale del PdL Giampiero Panfili denunciando “il forte ritardo che si registra nella scelta del Candidato alla Presidenza e della composizione delle liste dei candidati. L’opportunità che rappresenta la prossima tornata elettorale non è cosa da prendere sottogamba perché il clima politico regionale potrebbe essere maturo per determinare uno storico cambio di amministrazione. Indipendentemente dalle polemiche interne all’attuale maggioranza, il compito del PdL è quello di mettere in campo le migliori forze e, attraverso l’individuazione di una candidatura forte, raccogliere la sfida con la prospettiva del miglior risultato. L’attuale immobilismo della classe dirigente del PdL è motivo di insofferenza da parte della cittadinanza che sembra confondere il necessario momento di riflessione con una sorta di superficialità nell’affrontare la questione. Sono certo che non si tratta di niente di tutto questo ma, sicuramente, è tempo di chiudere il cerchio sia sulla candidatura apicale che sulla lista da presentare. Sul fronte interno invece, chi oggi ha dato la propria disponibilità a candidarsi, come il sottoscritto, ha il diritto di sapere con certezza se sarà inserito in lista o meno. Pare che attualmente gli unici certi della candidatura siano gli uscenti, indipendentemente da quante legislature abbiano già fatto e da come abbiano svolto il proprio mandato. Se qualcosa possiamo imparare dagli avversari del PD – continua Panfili – è proprio la struttura di partito e soprattutto i meccanismi interni che garantiscono la formazione ed il ricambio della classe dirigente: il PD apre una questione circa l’ipotizzata terza candidatura della Lorenzetti perché rappresenta una situazione di carattere eccezionale, cosa che in altri ambiti invece sembra essere la regola. Evidentemente frutto di un sistema-partito nel quale chi ha l’onere di dover scegliere è anche soggetto direttamente interessato e coinvolto. La classe dirigente del PdL deve finalmente trovare il coraggio di osare che forse è mancato fino ad oggi, proponendosi agli elettori con un serio programma di rinnovamento, con un candidato alla Presidenza che sia forte e riconoscibile e soprattutto una squadra di cavalli di razza che sappiano raccogliere la fiducia della popolazione. E’ finito il tempo delle liste fatte ad uso e consumo dei soliti noti, il PdL sa che non può prendersi il lusso di sbagliare se non vuole perdere anche questa storica occasione. Sono sicuro che alla fine sapremo mettere in campo una lista competitiva che offrirà le giuste prospettive al governo della Regione”.

giovedì 7 gennaio 2010

7 Gennaio 1978 - 7 Gennaio 2010 "ACCA LARENTIA" NOI RICORDIAMO...

Il 7 gennaio 1978 furono uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù. Due di loro erano appena usciti dalla sede del Movimento Sociale Italiano di via Acca Larenzia, nel popolare quartiere Tuscolano, per un volantinaggio inerente ad un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Gli Amici del Vento. Il terzo venne ucciso qualche ora dopo, durante gli scontri scoppiati con le forze dell'ordine in seguito ad una spontanea manifestazione di protesta organizzata davanti alla stessa sede dagli esponenti missini.Usciti dalla sede cinque giovani militanti di destra furono investiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco di 5 o 6 persone; uno di loro, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno di medicina e chirurgia, fu ucciso sul colpo. Vincenzo Segneri, seppur ferito ad un braccio, riuscì a rientrare nella sede del partito, dotata di porta blindata, assieme ad altri due: Maurizio Lupini e Giuseppe D'Audino, rimasti illesi.L'ultimo del gruppo, Francesco Ciavatta, liceale diciottenne, pur essendo ferito, tentò di fuggire attraversando la scalinata situata al lato dell'ingresso della sezione ma, seguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena; morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale.Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell'agguato, una sgomenta folla, composta soprattutto da attivisti missini romani, si radunò sul luogo.In seguito, per motivi ed in circostanze non chiari, scaturirono dei tafferugli che provocarono l'intervento delle forze dell'ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Le apparecchiature video di giornalisti RAI furono danneggiate. Si dice che tutto fosse cominciato poiché un giornalista, distrattamente (alcuni sostengono l'intenzionalità dell'atto, ma sembra improbabile), avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime della sparatoria.Per far fronte al tafferuglio creatosi, il Capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori sparò ad altezza d'uomo, centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus, a cui il cantautore Fabrizio Marzi dedicò nel 1979 la canzone "Giovinezza"; il giovane morì dopo due giorni di agonia.Alcuni mesi dopo l'accaduto il padre di Ciavatta, portiere di uno stabile in Via Deruta 19, si suicidò per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.Il 7 gennaio 2008, come da tradizione, si è tenuta la fiaccolata in onore delle vittime della strage che da piazza San Giovanni attraversa la via Tuscolana fino al luogo della sparatoria, dove si ricordano i nomi dei tre ragazzi uccisi e si onora la memoria dei militanti di destra uccisi negli anni di piombo.Dopo "30 anni di ingiustizia" (è l'espressione usate sui manifesti affissi nella capitale per pubblicizzare l'evento), il sindaco di Roma Walter Veltroni ha deciso di intitolare una strada romana alle tre vittime della strage, così come in passato per il trentennale del rogo di Primavalle era stato deciso di intitolare una strada ai due ragazzi morti.